Andrea Malatesta fece costruire un primo ponte di pietra dove oggi sorge il Ponte Vecchio.
Travolto da una piena sul finire del sec.XVII, il ponte sarà sostituito da uno in legno poco più a valle, distrutto a sua volta da una fiumana nel 1727.
Nel 1732, grazie alla munificenza di Clemente XII iniziarono i lavori per la costruzione del “Ponte Clemente” alla cui progettazione e realizzazione hanno partecipato famosi architetti: Ferdinando Fuga, Luigi Vanvitelli, Domenico Cipriani e, infine Pietro Borboni che lo completò fu completato nel 1772.
Gravemente danneggiato durante l’ultimo conflitto mondiale e stato successivamente restaurato fedelmente all’originale.
Note relative al restauro del ponte vecchio
Il vero nome del Ponte è, infatti “Clemente” anche se dai più ignorato.
Per la verità inizialmente fu quello di Ponte Nuovo: titolo che dovette cedere, quando, dopo la prima guerra mondiale, fu costruito il Ponte del Risorgimento subito chiamato – e lo è ancora oggi – Ponte Nuovo.
Di un primo ponte romano poco o nulla si sa.
Certamente ve ne fu un secondo più o meno corrispondente a quello dell’attuale di San Martino subito fuori della Porta Fiume.
Allora il Savio scorreva molto più vicino alle mura che non oggi.
In luogo dell’attuale vi fu quello Malatestiano: una struttura possente a cinque arcate iniziato nel 1403, e terminato nel 1456.
Dette subito problemi e già nel 1500 era in stato di avanzato degrado; nel 1564 cedette una pila e nel 1684 fu travolto dalle acque.
Si provvide a sostituirlo con ponti di legno anche durante tutto il periodo della costruzione del Ponte Clemente.
Vale la pena ricordare che il Savio non fu mai il “fiume di Cesena”, anche Dante lo scrisse – più o meno consapevolmente – allorquando nella Divina Commedia, a proposito della nostra città dice che è “…quella cui il Savio bagna il fianco…”.
Infatti, il fiume di Cesena era, ed è, la più domestica Cesuola.
L’ autorizzazione per la costruzione del nuovo ponte non fu di Papa Clemente XII bensì di papa Benedetto XIII- il napoletano Vincenzo Orsini – che nel marzo del 1729 ne autorizzò i lavori su di un primo progetto redatto dall’architetto romano Felice Antonio Facci..
Non ebbe molto tempo per vedere l’opera iniziata, anzi non la vide proprio, perché mancò ai vivi l’anno seguente.
Spettò allora a papa Clemente XII°, Lorenzo Bruno Corsini – salito al soglio nel 1730 – dare inizio ai lavori con un fattivo contributo di cinquemila scudi.
Seguendo una prassi consolidata e ripetuta nel tempo, il Papa si avvalse di una prima consulenza, quella del celebre Ferdinando Fuga il quale venne a Cesena nel 1733 ove si rapportò con quel Domenico Cipriani che ritroveremo spesso in tutto l’arco di durata della costruzione del ponte.
I due ritennero di abbandonare il progetto del più modesto Facci che riproponeva una soluzione a cinque arcate come quella malatestiana per una a tre, come poi si farà.
Il Fuga era reduce da un’ esperienza in tal senso avendo progettato, nei pressi di Palermo, un ponte sul fiume Milicia per l’ appunto a tre arcate ed in una situazione orografica abbastanza simile a quella cesenate.
Si era costituita in Cesena una “Congregazione del Ponte”: organismo che seguì ed amministrò i lavori fino al loro compimento.
La condizione prioritaria ed irrinunciabile ch’essa pose fu quella della costruzione della “platea”: Infatti, la causa del crollo del precedente e pur notevole ponte malatestiano, fu il cedimento delle pile.
L’ acqua delle piene, allora molto rovinose per il periodo climatico particolarmente avverso di quei tempi, le scalzava ed il loro cedimento fatalmente trascinava le arcate.
I lavori iniziarono quindi con la costruzione della “platea” ancor oggi visibile.
Fu solo nel 1765 che un altro celebre architetto, cese-nate di adozione, Pietro Borboni sottopose al Consiglio Generale della Congregazione del Ponte il progetto definitivo.
Erano, infatti, passati trent’anni e altri papi.
Le cause furono molteplici, certamente la difficoltà del lavoro che richiedeva di isolare porzioni della futura platea con gabbionate imper-meabili, lo svuotamento dall’acqua ed il successivo riempimento con materiali inerti: lavori da farsi necessariamente in estate.
L’altra, ancor oggi attuale, per la cronica carenza di finanziamenti giustificata da un periodo storico particolarmente avverso per le modeste risorse cesenati che videro il territorio per-corso e ripercorso, nonché l’acquartieramento, di truppe mercenarie, complici le guerre di secessione polacca (1733 – 1738) e poi austriaca (1740 – 1748).
Ancora una consulenza, questa volta nientemeno che del Vanvitelli che, alla fine approvò anch’egli la soluzione a tre arcate.
Il Borboni poté quindi dare inizio alla costruzione delle pile e quindi degli archi.
Non sappiamo esattamente, quando il ponte fu effettivamente tran-sitabile.
Una nota del 1773 ci dice “…che da qualche anno si passa”.
Nel 1765 uno scalpellino cesenate era stato mandato in Istria, a Rovigno per l’esattezza, per il “cavamento” delle pietre previa autorizzazione della Repubblica di Venezia.
Occorsero ben diciotto barche per il trasporto in un arco di tempo di più anni.
Si arrivò così alla seconda guerra mondiale senza episodi significativi.
Durante tutto il 1944 il Ponte fu oggetto di ripetuti attacchi aerei senza essere mai colpito.
Furono invece distrutte le opposte borgate di San Rocco e della Brenzaglia.
Il giorno 20 Ottobre 1944, lo stesso dell’arrivo degli Alleati, i tedeschi in ritirata fecero saltare l’arcata centrale.
Gli Alleati provvidero subito con un ponte Bailey e, l’anno dopo, la ricostruirono.
Oggi solo una diversa tonalità dei conci ne rivela l’intervento ed un piccolo stemma sull’interno del parapetto a sud col simbolo dell’Ottava Armata.
Il complesso apparato decorativo in Pietra d’Istria rimase pressoché intatto.
Erano però tempi di estrema penuria di materie prime, in particolare di leganti per la ricostruzione.
La Pietra d’Istria, un carbonato di calcio, faceva gola a troppi.
Così nottetempo ed in breve tempo le pietre sparirono ad opera dei “barrocciai” che le portarono alle fornaci.
L’ attuale restauro si pone come obbiettivo primario il ripristino dei materiali lapidei.
In buona sostanza si tratta di ripristinare le robuste copertine dei parapetti, quelle dei muri andatori e dei pinnacoli posti su quest’ultimi.
In un secondo tempo sono stati programmati interventi di restauro delle cortine murarie.
La ricerca è stata condotta su tutto il materiale documentario – in vero scarso – e sui pochi reperti disponibili.
È stato comunque possibile risalire alle dimensioni originarie dei singoli elementi ed alla natura del materiale.
La ricerca di quest’ ultimo è stata condotta in Istria, nella zona compresa fra Rovigno e Parenzo dove sono ancora attive le cave originarie.
La Pietra d’Istria non è completamente bianca, anche se col tempo tende a diventarlo.
Molte sono le sue tonalità originarie che variano dal grigio-verde al giallo: quest’ultimo attualmente più usato.
Occorreva quindi fare delle scelte oculate anche in previsione del divenire.
Aiutati dai tecnici croati si è individuata una piccola cava, ormai estinta, che ha fornito il materiale da noi cercato.
Lo stesso è stato lavorato in Istria da maestranze specializzate sulla base dei modelli da noi forniti: qualcosa come 650 pezzi.
I lavori consistono essenzialmente nella posa sopra i parapetti delle pesanti copertine sagomate, nella ricostituzione dei marciapiedi originali, anch’ essi in Pietra d’Istria; nel rifacimento dei quattro pinnacoli che ornavano le estremità dei muri andatori.
Le operazioni, abbastanza semplici sotto il profilo tecnico, hanno richiesto la rimozione del coronamento in mattoni in costa fatto nel dopoguerra in luogo delle copertine asportate.
Le operazioni hanno richiesto la parziale e, a tratti, totale chiusura al transito sul ponte per un periodo stimato in 180 giorni.
In un secondo tempo è previsto l’intervento su tutta la cortina muraria che, soprattutto sulla parte sud, porta ancora i segni vistosi dei danni bellici.
Anche per questa seconda fase è stato redatto un progetto distinguendo tre categorie di intervento secondo le gravità di danno riscontrate.
Non si intendono però cancellare i segni del tempo ma provvedere a riparare quelle porzioni di cortina il cui degrado potrebbe, nel tempo, nuocere alla statica del manufatto.
Il ponte è, infatti, costituito da un corpo centrale di materiali inerti, sabbia e ciottoli, contenuti dai robusti muri di mattoni esterni.
La spesa della prima fase, cioè il ripristino delle pietre lapidee è sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena.
Della seconda si è fatto carico il Comune che intende realizzarla entro il 2015.
Ha collaborato al progetto il giovane architetto Gianluca Battistini, mentre la direzione dei lavori è affidata all’architetto Carla Tisselli.
Il primo è stato un prezioso collaboratore nella ricerca storica; la seconda svolge un compito particolarmente delicato nonostante al profano possa apparire abbastanza semplice.
Richiede invece una presenza costante e la continua soluzione di piccoli dettagli e di decisioni “in loco”.
La storia ed il lavoro, qui molto brevemente riassunti, saranno oggetto di una pubblicazione secondo l’ormai invalsa consuetudine della Fondazione di lasciare una traccia scritta delle sue realizzazioni.
Tommaso Cantori – Architetto
Tommaso Cantori – Architetto