AMARE LA VITA

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Massimo Riva Sotto la presidenza di Domenico Girotti, in assenza di Fabrizio Rasi, al Rotary Club di Cesena Pietro Castagnoli ha presentato il libro «Amare la vita» di Massimo Riva (Edizioni Farnedi, Cesena 2004).
Ne ha puntualizzato il quadro storico-culturale entro cui si muovono le vicende personali narrate, i rapporti con la cultura scientifica dei suoi docenti universitari nella facoltà di ingegneria. In particolare si è soffermato sull' esperienza decisiva a Waijr in Kenia nella comunità di Annalena Tonelli nel 1977, per due anni, nella cura dei tubercolotici della fascia somala, prima di essere assassinata a Bomarama nel 2003.
L'autore poi ha arricchito con dovizia di particolari la gestazione e le finalità del libro.
Massimo Riva ha tenuto a precisare che si tratta di un» romanzo di formazione» e che i riferimenti storici possibili sono del tutto indiretti, perché si tratta di un romanzo. La figura centrale è comunque quella di Annalena Tonelli che deve restare al di fuori e al di sopra di ogni possibilità di individuazione narrativa personale. È Chiara nel romanzo, come il protagonista è Umberto. Il punto di partenza e di riferimento costante è l'incontro a Spello con Carlo Carretto, nella sua comunità Amare la vita spirituale. Sono sue le parole di mettersi solo davanti a Dio, staccarsi dalle cose del mondo e lasciarsi fare dalla sua luce. Questo abbandono a Dio mette in luce l'atteggiamento di testimonianza silenziosa di Annalena Tonelli. Pietro Castagnoli aveva puntualizzato dalle confessioni del libro la diversità dall'Islamismo, il di più del cristianesimo nell'amore che incide sul rispetto e la cura della persona, prima di ogni altra cosa Ciò spiega anche la diversità della nostra cultura nel rispetto dei diritti umani, che Massimo Riva conferma con esempi concreti della vita matrimoniale somala.
Massimo confessa che questo romanzo di formazione è la storia delle scelte di un cockney, un nativo, come si direbbe a Londra per chi è nato tra le mura cittadine più antiche e che ogni scelta ha rappresentato un momento di crescita umana dall'interno anche nell'impegno professionale. Il suo romanzo vuole essere una testimonianza di vita sulle motivazioni delle nostre scelte.

    Pietro Castagnoli

Pietro Castagnoli Massimo è estemporaneo. Non ha pretese letterarie, ma questo libro è stato studiato a lungo e sottoposto a critiche severe da amici suoi e riveduto più volte prima della stampa. È comunque un exploit fermo su alcuni punti. Ha avuto molte recensioni nella stampa locale. Noi cercheremo di capirlo come le confessioni di un amico, con l'aggiunta di qualche integrazione storica per chi non lo ha conosciuto da vicino.
Rivela le sue inquietudini, debolezze e impazienze, battute veloci, con la più schietta naturalezza.
Si racconta nella maschera di Umberto, la sua controfigura, che si muove come una eco del richiamo mistico di Chiara, nome francescano in cui ha racchiuso il ricordo di Annalena Tonelli, la missionaria forlivese assassinata nel Somaliland nel 2003, a Bomarama, a sessant'anni, tra i somali tubercolotici che stava aiutando da una vita: «Vivi Umberto, vivi intensamente la vita ed amala» (pag. 39).
La sua parola d'ordine era «condivisione». Lo ha confessato lei stessa in una lunga autopresentazione che le era stata richiesta.
Il dialogo con le altre religioni è condivisione: «Non c'è bisogno quasi di parole. Il dialogo è vita vissuta, meglio, almeno io lo vivo così, senza parole». Tutto ciò si può tradurre in «testimonianza silenziosa». Le basta.
Per Massimo diventa un imperativo a 360°. Il titolo del libro ne interpreta lo spirito in maniera sintetica: «Amare la vita».
Nel 2004 Massimo ha superato di poco i cinquanta, due anni in più e ne può trarre un primo bilancio.
Secondo Freud è la prima parte della costruzione della nostra vita. Per Jung inizia il momento in cui ci si avvia a dare un senso a ciò che abbiamo fatto e che ci dobbiamo lasciare dietro le spalle. Un consuntivo.
Nella copertina delle Edizioni Farnedi di Cesena non ci presenta le fasi della vita come un cerchio chiuso, o una spirale sempre aperta. Ci fa capire che è un ingegnere.
Il sole continua a brillare su una linea sinusoidale: sono due mezzi cerchi ribaltati e congiunti con alti e bassi, una montagna russa. In elettronica è il diagramma di energia cinetica che si trasforma in potenziale. Per la cronaca di una vita è una linea-evento esistenziale. Il sole è sempre in alto anche se la notte è più lunga. Accanto, a penna, minuscolo, «ogni giorno la sua pena».
I passaggi sono veloci, bruschi, dalla fanciullezza e dall'educazione familiare rigorosa, anche con qualche cinghiata paterna per le birichinate bambine, la piazzetta Amendola nella più antica Cesena, a ridosso della Pescheria, la città murata, gli studi all'Istituto tecnico industriale, la scelta universitaria su consiglio del cugino professore di elettronica, il bravo prof. Ubaldo Maltoni, inframmezzati da ripetuti incontri estivi, da Spello a Cuneo, alla ricerca inquieta di un ubi consistam vocazionale, gli incontri con l'alta cultura universitaria a Bologna, in Via Saragozza, nella facoltà di ingegneria, con l'elettronica e l'elettrotecnica, la «Didattica breve» di Filippo Ciampolini, i consigli del prof. Pier Ugo Calzolari, ora rettore magnifico, di immergersi al vivo nella lingua inglese, la lingua d'oggi, il magistero limpido del prof. Maurelio Boari, e poi i due anni, suo vero banco di prova, l'acme acuto, a Wajir, un villaggio desolato nel Nord-Est del Kenya, ai confini con la Somalia, con Annalena Tonelli, il ritorno in Romagna per «rendersi utile» nel nostro mondo, l'ingresso nella professione, i viaggi nei paesi asiatici come rappresentante commerciale dell' industria in cui lavorava e da ultimo, la scelta, la definitiva forse, di promotore di servizi finanziari.
Ogni volta la sua è una scelta di vita e un tentativo di prendere le distanze, mentre riaffiorano i richiami della terra nostrana, più modesta e chiusa, più matura, l'ingresso nel mondo familiare, la moglie Anna Maria Casadei Venturi, sorella del nostro socio Antonio, i due figli già grandi Antonio e Maria Laura.
Passa sotto silenzio la sua scelta di vita rotariana, che noi consideriamo la «nostra scelta morale». E anche la sua partecipazione attiva al Club «Serra» per le vocazioni sacerdotali.
Il punto fermo è che non ama apparire nelle scelte istituzionalizzate. In questo è in linea con lo spirito aperto di Annalena Tonelli.
Entrò a fare parte del Rotary Club di Cesena nel 1985, troppo giovane allora per i nostri lenti cicli temporali, poco più che trentenne, in anni in cui ci si batteva per l'università in Romagna e per far fronte a quella che sarebbe stata chiamata la «rivoluzione informatica».
Nel Club ebbe modo di reincontrare il prof. Armando Spazzoli che era stato suo maestro elementare al Saffi e rinverdì i contatti con illustri docenti bolognesi da Enzo Belardinelli, con cui si laureò, al prof. Zanarini per i rapporti tra informatica e psicologia, a Maurelio Boari.
Il prof. Maurelio Boari, di cui Massimo Riva era stato allievo, tracciò allora un progetto educativo che resta ancora dopo venti anni un punto di riferimento, un modello di service culturale. È bene ricordare ancora le sue parole del marzo 1985: «L'informatica non è una barbarie tecnologica».
Fin da allora ne metteva in luce le più profonde e vaste radici culturali che avrebbero dovuto sconvolgere la nostra formazione scolastica e professionale.
Chi non ha saputo prendere sul serio questi progetti in una Europa fossilizzata si è trovato a rimorchio della travolgente innovazione tecnologica americana che dagli anni '90 ha mirato non solo alla comunicazione come abbiamo fatto noi, ma alla produzione industriale in una società più globale e flessibile. Sono le ragioni del gap tecnologico che si à creato dagli anni '90 in Europa.
Massimo Riva partecipò attivamente a questo rinnovamento provocato dal Club e che si innestava nelle «onde lunghe della storia». Diede il suo contributo alla stesura del programma informatico ad uso del Club, di cui era tesoriere allora il ferreo Uber Vittorio Montanari.
Di fronte al ragionamento pacato e lungimirante di un Maurelio Boari in quegli anni anche nel nostro Club trionfava l'eloquenza spumeggiante di Giovanni Spadolini, subito sopita e stroncata dai nostri triti giochi politici socialnazionali.
Il Prof. Filippo Ciampolini si dedicò allora a perfezionare nelle nostre scuole la sua «Didattica Breve» che dopo l' elettrotecnica tentò di far passare anche alle materie umanistiche per gli aggiornamenti culturali della scuola e della classe dirigente. Tutto da rifare ancora.
Massimo tiene a sottolineare il fatto che si laureò in ingegneria elettronica in cinque anni e che per trentatré esami si servì di soli tre libri. Quali e perché? Gli bastavano gli appunti che prendeva alle lezioni che frequentava assiduamente e rielaborava la notte con sforzo personale. Di solito in ingegneria si va fuori corso, per chi ce la fa, di almeno un paio d'anni.
Nel libro il punto di riferimento costante è Chiara, Annalena Tonelli. La discussione sulle sue scelte esistenziali spazza via d'un colpo tutte le altre esperienze, la nostra latina, l'anglosassone, l'asiatica.
L'incontro con i mussulmani è il problema decisivo.
È la ragione per cui il presidente del Rotary Club di Forlì, Giuseppe Mecca, ha invitato Massimo Riva nel giugno scorso a presentare il libro alla chiusura dell'anno del centenario del Rotary, la nostra celebrazione secolare del servire.
Si trattava di rispondere alla domanda: «Che significa servire?» di fronte a una concittadina che aveva «sacrificato» la vita agli altri, solo in quanto uomini, non in quanto cristiani o mussulmani, ma poveri, sofferenti e malati, una cristiana che non voleva apparire tale a loro, dall'esterno, con una precisa dichiarazione di fede e chiedeva solo di «testimoniare in silenzio».
Ci troviamo in difficoltà a capire questo servizio evangelico allo stato puro,»una crociata senza croce»: «Un dialogo di vita, senza parole».
Chiara per Umberto è la voce critica, radicale, da seguire.
Si chiede dove è la «differenza» tra fede in Dio e amore cristiano. È il problema di tutti noi, del dialogo interreligioso, e non solo con l'Islam, ma anche con il buddismo, con una cultura diversa che non si rivolge a Dio.
«Per questa grande dedizione un giorno un mussulmano disse a Chiara:»Voi avete l'amore, noi abbiamo la fede». Fede per loro significava fedeltà ai cinque momenti precisi della giornata da dedicare alla preghiera: stendere la stuoia verso la Mecca, inginocchiarsi, portare il capo in basso fino a toccare con la fronte la terra, segno di umiltà nei confronti di Allah.
Fede per la comunità (Massimo intende la c. cristiana) significava non partecipare neppure alla funzione della messa, se qualche ammalato avesse avuto bisogno con urgenza.
Fede era verso Dio per riceverlo in modo da essere fonte di amore per gli altri; fede non era solo pregare in una cappella al mattino presto in silenzio, ma ogni giorno prendersi cura degli altri» (Pag.76).
Questo è un «fare la differenza», la Care che Umberto ha imparato da Chiara: «Il messaggio che invia ai giovani dell'Occidente è: «Vivere la vita!» mentre sorridendo guardava dolcemente il più reietto dei fanciulli.
Lei che era giovane, ricca, bianca, cristiana, non sposata, in un mondo ammalato, povero, di colore, musulmano, in cui il celibato non è un valore per nessuno» (pag.78).
Annalena ammira nei musulmani il loro totale rimettersi a Dio in ogni gesto rituale, la loro preghiera, ma esalta «in più» l'amore come base della vita cristiana, il condividere con i derelitti le loro sofferenze e lottare per guarirli dalla tubercolosi che li uccide in massa, in un lavoro senza fine, massacrante.
Per chi studia la storia delle religioni questa è la differenza tra l'essere figli del cristianesimo e il nostro lottare per salvare e migliorare una vita che riteniamo irripetibile e di cui dobbiamo rendere conto. Per chi sa leggere la storia, in questo sono anche le radici della scienza occidentale nella diversità da tutte le altre culture.
Umberto si prodiga a modo suo come ortopedico nelle protesi per i malati, ma poi sente il richiamo di casa nostra, in cui c'è altrettanto da fare per «rendersi utili» nella propria professione, dapprima nell'industria con l'applicazione dell'analisi sistemica, per migliorare la qualità del lavoro, e in un secondo tempo nell'ambito finanziario con la raccolta del risparmio per gli investimenti.
Qui si apre un altro importante capitolo di problemi di qualità professionale sui rapporti tra finanza ed etica, il mondo degli affari e le regole che ne sono alla base per un controllo di un sistema in cui, come è stato scritto di recente nel nostro maggiore quotidiano, le volpi non siedano insieme al tavolo dei polli da spennare. (L'editoriale è di Francesco Giavazzi, La Banca, le volpi e il governatore, Corsera, 30 Ottobre 2005 e meriterebbe un discorso ancora più profondo nel Rotary International sull'etica finanziaria e il risparmio).
Massimo si vanta di persona di non avere mai consigliato ai suoi clienti operazioni dubbie sui bond nella rincorsa di tassi folli, operazioni che hanno dato luogo alla distruzione dei risparmi dei risparmiatori.
È la sfida per un prossimo libro quando saranno maturate nuove esperienze e Massimo avrà potuto toccare con mano la crescita umana anche dei suoi figli in questo nuovo mondo.
Service per un rotariano, ci ha insegnato da più di un secolo il saggio «uomo normale» Paul Harris, non è la richiesta di eroismi di facciata, ma semplicemente un «rendersi utili» in un «dialogo reciproco» e da parte di ciascuno di noi nel «suo modo migliore possibile».
Chi fosse Paul Harris ce lo dice con rispetto affettuoso Angus S. Mitchell, il primo Presidente Internazionale dopo la sua morte nel 1947: « Sì, il fondatore del Rotary era un uomo semplice, ma con un grande ideale: pace e amore per il prossimo nel mondo. Per realizzare il suo ideale egli viaggiava molto, ovunque egli andasse incontrava persone ed intrecciava amicizie. Era un uomo del tutto normale, cordiale, equilibrato, competente, gentile con l'assoluta convinzione che proprio queste normali qualità avrebbero fatto miracoli tra gli uomini e le nazioni».
È la ricerca della democrazia reale alla quale aspiriamo invano.

Il RYLA


    Pietro Castagnoli
www.webalice.it/castagnoli.pietro

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