LA QUESTIONE CINESE TRA MINACCE ED OPPORTUNITÀ
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Alberto Forchielli
Presidente e fondatore della Sourcing Solutions
e Presidente Osservatorio Asia (
www.osservatorioasia.com).
La Cina è vicina?
Il Dott. Alberto Forchielli nella Conviviale del Rotary Club di Cesena di venerdì, 20 maggio 2005, presieduta dall’arch. Domenico Gustavo Girotti, ha affrontato un tema scottante.
La Cina è una nuova piattaforma industriale del mondo? Chi è contrario al suo sviluppo? E quali le conseguenze per la nostra economia?
Il Dott. Alberto Forchielli si considera romagnolo. Vive a Imola che è proprio al limite, anche se gravita su Bologna, e lo si avverte nel suo carattere schietto e passionale. Fa parte del nostro mondo culturale. Ha maturato le sue convinzioni nelle attività dell’
Osservatorio Asia. Ha la consapevolezza dei problemi dei mercati delle due economie emergenti, quella indiana e quella cinese. È coinvolto nella Facoltà di Economia e commercio dell’Università di Bologna per la docenza di
Business administration e strategie delle alleanze. Dietro le spalle ha anche esperienze internazionali di management finanziario.
Va alla domanda diretta: chi è contento dello sviluppo cinese? Tutti i consumatori del mondo.
Basti pensare ai prodotti di media tecnologia, dalle tv ai computer, portati ai minimi costi. E poi ci sono le multinazionali che hanno avuto nei rapporti con la Cina margini incredibili. E le capitalizzazioni di borsa, sfruttando una liquidità inaudita. E anche chi ha avuto materie prime da vendere loro.
Un primo dato: la Cina è il motore economico dell’Asia ed esporta in America. Se si bloccasse questo rapporto la Cina si fermerebbe e ne sarebbe coinvolta l’Asia che vi esporta le proprie materie prime.
In effetti è da 25 anni che la Cina ha un tasso di sviluppo del 9,5, fenomeno mai avvenuto in economia. Il reddito pro-capite è triplicato, ma per un miliardo e mezzo di persone.
La Cina figura come la seconda economia dopo gli Stati Uniti e ancora con un potenziale enorme da sviluppare.
Forse ci sono
due Cine, quella della costa e l’altra più interna, con un forte divario di reddito. Se mediamente si ha un reddito pro capite pari a 1000 $, nelle regioni costiere è di 6/7000 $ e nelle campagne per agricoltore non è più di 300$. Ciò produce sottoccupazione nelle campagne e il blocco forzato della meccanizzazione per 400 milioni di agricoltori. Sarebbe un disastro l’improvvisa immigrazione nelle città industrializzate dalla campagna. Il processo graduale è controllato nei minimi particolari dall’alto di un potere politico che lascia ogni libertà di iniziativa, ma non ammette nessuna libertà di aggregazione, anche minima.
I problemi maggiori sono nostri, italiani. I cinesi hanno vantaggi sui costi del 40/50 %, presentano a noi i loro prodotti con prezzi inferiori del 12/15%. Quindi hanno margini enormi per accumulare risorse da reinvestire. Il lavoro non qualificato costa 1/30 rispetto all’Italia. Un ingegnere che parli inglese costa 30.000 euro all’anno, la metà di uno nostro. Le loro università sono maestose. Le infrastrutture modernissime. Terreni ed energia costano la metà. Hanno travolto nostri interi settori economici, dalla ceramica al tessile, alla bassa tecnologia. Né possiamo contare sul turismo per una loro minoranza. Copiano. Noi non abbiamo né alta tecnologia, né materie prime. Siamo tagliati fuori da questo processo. Non è più un problema di barriere doganali, o di rispetto ambientale e di diritti umani. Bisogna andare là e lavorare con loro se si vuole sopravvivere: più cresce l’investimento, più i cinesi accettano le nostre fabbriche, più le nostre fabbriche importano i nostri prodotti. Per noi si tratta di ricominciare dall’inizio, con progetti chiari. Il nostro mercato ora è assolutamente marginale. E non possiamo attendere ancora, è già troppo tardi.
Pietro Castagnoli
www.webalice.it/castagnoli.pietro
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