"Sul problema ospedaliero cittadino"

Conoscere la nostra Città, conoscerla nella sua storia, nei suoi monumenti, nelle sue industrie, nella sua agricoltura, nei suoi Istituti, antichi e recenti, conoscerla in ogni settore dove ferve la vita o si delinea un progresso, rappresenta uno dei compiti fondamentali dell'attività rotariana.



Con la comunicazione odierna intendo rendervi edotti sulla costruzione del nuovo Ospedale: problema gigantesco che ha suscitato e suscita incertezze, discussioni e soprattutto comprensibili preoccupazioni in vari strati della cittadinanza ed anche nelle sfere amministrative degli Enti che si sono impegnati per la realizzazione di quest'opera altamente umana e sociale.
Cesena ha grandi tradizioni ospedaliere: esse meritano di essere vagliate e sottolineate - nel volgere dei secoli - perché dal confronto dei problemi assistenziali del passato e da quelli odierni, scaturiti dalle mirabili scoperte scientifiche di questi ultimi tempi e dall'aumento della popolazione, si avranno elementi di più sereno ed obiettivo giudizio per comprendere e sostenere la necessità di un'opera così impegnativa.
L'ospedale di Cesena denominato, nel primordi, del SS. Crocefisso. fu certamente una delle più importanti ed antiche Istituzioni della nostra città: sembra ripetesse la sua primaria origine dal Comune come ne fa testimonianza la seguente petizione che i Priori e Uomini della Compagnia del Crocefisso indirizzarono al Patrio Consiglio, il 15 marzo del 1441, per ottenere l'esenzione dalle tasse:
" Denance da Vui, Miser lo Podestà, Miser lo Vicario, Signori Antiani. e Vui altri Circumspecti et Egregi Cittadini del Consiglio, se espone, per parte degli Homini et Priuri de la Compagnia del Spedale del Crucifisso de Cesena et a le V.re Reverentie se notifica come el detto Spedale se chiama Spedale del Commune de Cesena, seguendo la forma de' Statuti del detto Commune, et come gli Antiani del mese de marzo eleggono i Priuri in lo detto Spedale, et come la detta Compagnia re regge et regolase secondo la forma de' Statuti predetti, et come è notorio el detto Spedale fu lassado de facto et guasto, et fino quì si è convenudo reedificare et tutto reparare et essergli speso tutto quello che gli è entrato et ultra quello per lo lavorare che se sta continuamente in esso, et è debito di più e più quantità di denari.
Appresso porta una gran spesa in governare et far medegare gli ammalati, che concorrono in lo detto Spedale. et porta continuamente una gran spesa de tenere uno homo et una donna, che attenda a detti ammalati, pertanto, per parte de la detta Compagnia et Priuri, se supplica le V.re Reverentie, quelle instantissime pregando, se digneno fare exeinpto et immune el detto Spedale, acciocché più comodamente se possa redrizzare el detto luogo, et fazzeno le V.re Reverentie ragione de fare ogni anno lemosina al detto Spedale de quello che traese de colte, et farlo a Vui medesimi, considerando che se chiama Spedale del Commune de Cesena.
Appresso ve facemo noto che el detto Spedale ha certe possessioni a Martorano et in altri luoghi, de le quali non se ne ha frua alcuna.
Pertanto, pregamo le Reverentie V.re ce concedano le possiamo vendere et remettere in altri luoghi, che se ne abbia più utilitade per lo Spedale e per i poveri ".
Anche in quel tempo, come si vede, le tasse incidevano fortemente sull'attività assistenziale e rappresentavano la spina conficcata nella viva carne dei Priori preposti all'amministrazione dei Beni pubblici per il pubblico Bene.
Tuttavia questo Ospedale fu circondata dall'amore, e dalla considerazione dei nobili, dei borghesi, dei plebei, dei chierici e dei laici, i quali provvidero con lasciti anche cospicui, a sorreggerlo e a potenziarlo.
E poiché fino dal 1424 troviamo un lascito già esistente e legalmente riconosciuto, non è improbabile che la sua origine risalga al secolo XIV quando appunto l'Italia tutta gareggiava nell'ardore di moltiplicare tali creazioni.
La serie dei Benefattori è lunga: essa si apre appunto nel 1424 con Gianchino Calisesi il cui nome assieme a quello di altri risulta intarsiato nella gran porta - pregevole opera del cesenate Giorgio Razzani - eretta due secoli dopo sotto il maestoso portico del Palazzo della Congregazione, che fu la sede dell'Ospedale del SS. Crocefisso.
Fra i benefattori figura Malatesta Novello: si dice che Egli ritornando incolume da un grave pericolo di guerra, imbattutosi in una immagine del Crocefisso, scendesse di cavallo, vi s'inginocchiasse dinnanzi e facesse voto di ampliare o modificare il pio luogo che da quello s'intitolava.
In tale atto è appunto raffigurato il Principe in una medaglia, lavoro di Nicola Pisani, detto il Pisanello, di cui si conserva un esemplare nella biblioteca da Lui fondata.
La sopra ricordata compagnia dei Priori era composta di 10 Uomini di cui cinque ecclesiastici di nomina vescovile e cinque laici di nomina del Consiglio Comunale.
Uno di essi, canonico, con la qualifica di Primicerio esercitava, assieme ad un laico, le funzioni di Presidente; due altri, sempre un laico ed un ecclesiastico, sorvegliavano le infermerie; due erano adibiti alla cassa; quattro ai fondi rustici.
Fra gli impiegati figuravano un Ministro e maestro di casa, un Regolatore o computista, vari fattori.
Questo abbinamento di funzioni, tra un laico ed un ecclesiastico, rappresentava un mezzo di reciproco controllo nell'esercizio di mansioni così delicate.
Per quanto concerne il personale specificamente adibito all'assistenza dei malati l'organico era così stabilito: un Babbo, una Mamma, un Cappellano, un Medico fisico e un Medico Chirurgo, tenuti a fare due visite al giorno; tre Infermiere, un Infermiere con l'ufficio anche di custode, una Balia, una Fattora, una Portinaia, un Procuratore.
Ma è interessante sapere che il problema dell'assistenza dei malati era sentito a tal punto che la città di Cesena destinò un secondo e distinto ospedale, detto di S. Antonio Abate, per la cura dei bambini.
E verso il 1530 per iniziativa di varie famiglie patrizie fu istituito un terzo ospedale, il S. Tobia, per la cura dei pellegrini.
Si fa menzione di altri tre ospedali: il S. Giovanni, il S. Bartolomeo, il S. Gregorio, ma questi ultimi erano più che altro adibiti al ricovero e alla sosta dei religiosi.
Verso la fine del 1700 ed i primi del 1800 si effettuò la completa riunione dei vari Istituti di cura.
E precisamente alla fine del 700 le sezioni così riunite furono trasferite dalla sede dell'ospedale del Crocefisso (attuale Palazzo della congregazione nell'ex convento di S. Rocco e successivamente nel 1811 nel convento di S. Domenico.
In questa nuova sede venivano accolti simultaneamente 140 malati e la media annua dei ricoverati toccava la cifra di 1300 unità: altri 3000 venivano curati ambulatoriamente.
Per questa assistenza, come risulta dalla accurata pubblicazione dei bilanci, si spendevano nel secolo scorso L. 230.000 annuali.
A titolo di curiosità e per un eventuale raffronto informo che oggi l'assistenza di 5500 ammalati comporta una spesa annuale di 200.000.000 di lire.
Nel 1885, Achille Montani, con testamento olografo - riservato l'usufrutto alla moglie - lasciò tutti i suoi beni affinché, dopo la morte di lei, fossero erogati alla costruzione di un nuovo ospedale per la cura degli infermi.
La costruzione ne fu iniziata nel 1908 e portata a termine nel 1911.
E' l'attuale ospedale civile di Cesena.
E' trascorso appena un mezzo secolo e quest'opera appare già sorpassata per concezione, per funzionalità, per razionalità di servizi, per la capienza tanto che oggi siamo, di necessità, alle prese con una nuova costruzione.
Con queste affermazioni non s'intende affatto esercitare una critica severa ed ingiusta verso i benemeriti costruttori, né tanto meno esprimere un giudizio irriverente verso di essi.
E questo perché le deficienze, come sarà dimostrato, sono fondamentalmente la conseguenza di un progresso travolgente, impensabile, diciamo pure atomico per cui - senza tema di smentita - si può affermare che più luce è stata proiettata in ogni campo delle umane attività, ed in particolare in quello medico, in questi ultimi tempi che non nel volgere di tanti secoli.
E veniamo alla disamina di queste deficienze:
L'Ubicazione: l'ospedale sorge nelle immediate vicinanze della Stazione ferroviaria e a pochi metri dai binari di transito e dagli stessi binari di manovra dei treni.
Ai primi di questo secolo il traffico era limitato a qualche convoglio giornaliero cosicché il problema della sede dell'ospedale, sotto questo aspetto, non preoccupò soverchiamente i progettisti.
Oggi si verifica un transito di oltre 100 convogli al giorno con un ritmo medio di un treno ogni 15 minuti, cui devesi aggiungere il movimento di manovra.
Tutto l'edificio viene profondamente scosso da potenti vibrazioni che turbano la pace ed il sonno dei malati nonché il delicato lavoro dei Sanitari.
Solo chi, per necessità di cura o per dovere di lavoro, è costretto permanere in questo ambiente, ha l'esatta misura dell'entità e dell'imponenza del disturbo.
Né può pensarsi a possibili adattamenti al rumore in quanto, come si comprende, si tratta di malati che continuamente si rinnovano.
La Capienza: l'ospedale fu costruito per 200 posti letto quando ai primi del 1900 il Comune di Cesena contava appena 30.000 abitanti.
Oggi, con l'abolizione delle verande di soggiorno, con il sacrificio dei refettori e con l'utilizzazione degli stessi corridoi la sua capacità è stata portata a 240 letti, del tutto insufficienti per un Comune che conta già 75.000 abitanti.
Rispettando le norme ministeriali che indicano, per l'Italia e per le varie contingenze, un fabbisogno di 10 posti letto per ogni 1000 abitanti, oggi il nostro ospedale avrebbe una capienza di 500 letti.
La Funzionalità: esso fu concepito con criteri di larga economia che, ovviamente, ha avuto poi riflessi del tutto negativi sulla funzionalità: limitati i servizi igienici (1 bagno e 2 gabinetti per 40 malati) precario il sistema di riscaldamento, irrazionali e ridotti gli ambienti di accettazione dei malati e soprattutto quelli devoluti all'isolamento degli infetti e dei tubercolotici, non confortevoli le comuni corsie, della capacità di 20 letti, dove ogni ammalato deve sopportare i lamenti di tanti altri, seguirne le sofferenze e, talvolta, la lunga agonia.
A coloro che ritengono non giustificata la costruzione di un nuovo ospedale perché la media giornaliera delle degenze non avrebbe superato, in questi ultimo decennio, la cifra di 230, si può facilmente rispondere che gli stessi ammalati, per le ricordate deficienze, hanno cercato e cercano, di proposito, una razionale assistenza in altri ospedali o istituti di cura aventi adeguate attrezzature ed ambienti ben più confortevoli e che molti altri ancora a ciò sono stati indotti per la mancanza di reparti specialistici quali l'ortopedico, l'otoiatrico, l'oculistico, l'ostetrico-ginecologico, fino ad oggi mancanti o fortemente deficitari.
Il nostro ospedale fu costruito per il ricovero dei soli malati di Medicina e Chirurgia generali, destinati in due sole Sezioni.
Ma ognun sa che dal tronco di queste due fondamentali discipline sono derivate molteplici branche di specialità le quali necessitano, oltreché di posti letto, di particolari distinti servizi.
Risulta così dimostrato elle la media giornaliera ha un valore relativo in quanto su di essa grava una preoccupante evasione di ammalati, evasione che deve essere arginata ponendosi, appunto sul giusto cammino del rinnovamento e del progresso.
D'altra parte la prova della limitata possibilità di assistenza del nostro ospedale si trova nel fatto che, in questi ultimi tempi, sono sorte, nella nostra città, tre altre case di cura di cui una di specialità oculistica.
Orbene la condizione di umiliante inferiorità, in cui si era venuto a trovare il nostro nosocomio rispetto agli altri istituti di cura, non sfuggì agli amministratori i quali, nel 1939, fecero elaborare un progetto di ampliamento.
Questo, però, non ebbe il parere favorevole delle competenti autorità perché avrebbe risolto il solo problema numerico e niente affatto quello ben più grave della vicinanze alla stazione e delle strutture del vecchio fabbricato.
Poi si ebbe la dolorosa parentesi della seconda guerra mondiale la quale fece risentire vieppiù i tanti e tanti difetti.
In questa contingenza l'ospedale poté accogliere in minima parte i malati comuni, i feriti civili e militari, i contagiosi, i tubercolotici che, per altro venivano posti in una forzata e pericolosa promiscuità.
Per le frequenti incursioni aeree sui convogli di transito e sulla stessa stazione ferroviaria, si dovette provvedere allo sfollamento dell'ospedale in un ambiente ancor più angusto e privo di ogni attrezzatura.
Cosicché l'ospedale venne a meno alle sue specifiche funzioni proprio nel momento cruciale del conflitto, quando la popolazione tutta ne sentiva il massimo bisogno.
Questa dolorosa esperienza doveva, logicamente, fare meditare quanti erano preposti ai doveri dell'assistenza.
Da queste complesse ragioni, umane e sociali, è sorta, finalmente, la grande impresa della costruzione di un Ospedale che possa rispondere alle esigenze dei Cittadini ed al postulati della scienza moderna.
Impresa ardua che necessita della comprensione e del sostegno di tutti.
Io ho voluto, preliminarmente, ricordare come, nei secoli trascorsi, la carità cittadina, nobile e generosa, avesse dotato Cesena di più ospedali affinché l'assistenza fosse il più possibile vasta e completa.
Il fervore delle iniziative era riassunto nelle parole di un Vescovo del tempo, il Gualandi: " Cesena non vuole cedere, né essere punto inferiore, nella sostentazione del prossimo, a qualunque altra, ancorché maggiore città ".
Mi auguro che con gli stessi intendimenti i cittadini di oggi vogliano seguire e caldeggiare la realizzazione di questa grande opera.

GASPARE BATTISTINI